Le previsioni di Almarik sulla fine dell'URSS
- Written by Eugen Galasso
- Published in Storia e ricerche
Se si rilegge l'aureo libretto di Andrej Amalrik "Sopravviverà l'Unione Sovietica fino al 1984?" (in italiano Roma, Coines edizioni e Alexander Herzen Foundation, Amstel 268, Amsterdam, 1971, mentre l'originale è di due anni prima, aprile-maggio-giugno 1969) ci accorgiamo subito di alcuni problemi: prima di tutto, nel volume l'allora trentenne storico (nato nel 1938, morto nel 1980 a causa di un incidente stradale, ma dopo anni di passati in detenzione per motivi politici), dissidente russo (sovietico, ma non per appartenenza ideologica) ci accorgiamo che le previsioni e la futurologia devono essere maneggiate con un po' di prudenza.
Amalrik, storico intelligente quanto a tratti, appunto, "imprudente", individua (si parla di fine anni 1960) tre forze che si oppongono all'allora regime URSS (ricordiamo che Gorbacev arriva quasi vent'anni dopo): "il marxismo-leninismo autentico, l'ideologia cristiana e quella liberale" (op.cit., p. 31). Intellighenzia, quella di questi gruppi o meglio "classe media", come dice Amalrik stesso, ma si tratta, dice l'autore, di "ideologie piuttosto vaghe"(cit., p.32), di un corpo sociale sostanzialmente rinunciatario, che forse non sarebbe stato in grado di combattere efficacemente il regime.
In seguito, però, Amalrik ventilava una possibile guerra tra Cina popolare e URSS, più probabile, a suo parere, di una guerra USA-URSS. Inutile dire (lo sappiamo) che non ci sarebbe stata alcuna guerra tra super-potenze, ma quella con la Cina era altamente improbabile: fino al 1976 visse Mao-Tse-Dong (nuova grafia), che non voleva la guerra neppure contro i revisionisti russi, mentre qualche anno dopo, con Hua-Kuo-Feng, c'erano i continuatori della tradizione maoista; poi con Deng-Hsiao-Ping (inizio anni Ottanta) netta inversione di rotta e spazio al "pragmatismo" per cui (famosa frase di Deng): "Non importa che il gatto sia bianco o nero; importa solo che prenda i topi". Un pragmatismo deciso a portare la Cina, formalmente "Repubblica popolare", nell'alveo capitalista, pur mantenendo formule e nomi di tipo "comunista", fino agli exploits in Borsa etc. Un pragmatismo conscio dei pericoli della guerra, anzi di una guerra... che la Cina, rossa o tale solo di nome e di facciata, non avrebbe potuto "reggere".
Amalrik sbagliava, dunque? No, ragionava in base a categorie strategiche e geopolitiche pre-comuniste da un lato e adatte, piuttosto, anche per società sostanzialmente avviate verso il "capitalismo", con argomentazioni adatte alle guerre tradizionali, fino alla Seconda Guerra Mondiale compresa: la conquista/accaparramento di fonti energetiche etc., mentre (almeno) dagli anni Ottanta in poi si affermano altre logiche, volte piuttosto al neo-colonialismo e all'imperialismo economico, ossia a quanto la Cina sta facendo (anzi ha in gran parte già realizzato) in Africa, in Asia, ma anche altrove...
Eugen Galasso
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