Perchè il rischio geologico, in Alto Adige, fa meno paura. Intervista a Rudolf Pollinger.
- Written by Franco Boscolo
- Published in idee, studi, scenari
Incontro con il dottor Rudof Pollinger, direttore dell’Agenzia per la Protezione Civile della Provincia di Bolzano.
In fasi successive, tra il 2000 e il 2003 (per i tipi de Il Mattino, prima, per Qui.bz.it, poi), intervistammo il dott. Rudolf Pollinger – a quel tempo direttore della Ripartizione n. 30, Opere Idrauliche della Provincia di Bolzano e Amministratore dell'Azienda speciale per la regolazione dei corsi d'acqua e la difesa del suolo - il quale ci spiegò quali sarebbero potute essere le conseguenze del cambiamento climatico - in atto sull'intero pianeta - sul territorio altoatesino: perdita di permafrost, una maggior intensità dei fenomeni piovosi, calo relativo di quelli nevosi, accresciuta instabilità dei versanti, aumento delle temperature medie ecc.
Quelle previsioni si stanno puntualmente avverando; per questo motivo siamo tornati dal dott. Pollinger, presso l’Agenzia per la Protezione civile – della quale, nel frattempo, è diventato il direttore - per chiedergli sia cosa è stato fatto per mitigare gli effetti dei maggiori rischi ai quali il nostro territorio è sottoposto, sia per conoscere come si articolerà la strategia per il futuro nella Provincia di Bolzano in questo specifico settore. (read more_clicca sul titolo).
Gli studi e gli approfondimenti allora realizzati dal mio ufficio – spiega il dottor Rudolf Pollinger - hanno permesso di mettere in campo, già da prima del 2006, numerosi progetti inerenti alla protezione del territorio e la mitigazione del rischio relativo ad eventi un tempo inconsueti per la nostra regione, ma che ora sono divenuti concreti a causa dell’evidente modifica dei modelli climatici; anzi, si può certamente affermare che gli effetti di tale cambiamento, semmai, sono più veloci del previsto. Sono stati fatti – continua il dott. Pollinger - notevoli progressi nella pianificazione del pericolo: buona parte del territorio altoatesino è coperta da specifici piani d’intervento con particolare attenzione alle zone più densamente abitate; forse rimangono alcune criticità nei grandi comuni di montagna, ma le grandi città, come Merano, Bressanone, Brunico ed anche Bolzano, sono salvaguardate da una specifica pianificazione.
Il dott. Pollinger ci ha chiarito che, in questi ultimi dieci anni, si è attuata la Direttiva Europea Alluvioni; essa obbliga gli Stati membri a realizzare dei piani d’intervento, con cadenza di sei anni, che devono comprendere misure specifiche per ridurre il rischio alluvioni.
Proprio intorno alla metà del mese di Febbraio 2016, si è deliberato, in Giunta Provinciale, il Piano Alluvioni per l’Alto Adige, quello relativo ai prossimi sei anni; in esso – continua il dott. Pollinger - si descrivono le misure preventive, si delinea l’aspetto previsionale, si struttura la realizzazione di modelli riguardanti le possibili alluvioni e, proprio a tal proposito, si perfeziona lo strumento con il quale sono modellati gli eventi possibili. Si è introdotta, in questi modelli, anche la possibile influenza delle dighe presenti sul nostro territorio. È previsto anche un cospicuo numero di opere di sicurezza da realizzare nei prossimi anni e contestualmente si amplia il programma che riguarda la Protezione Civile; sarà avviata, per esempio, a breve, la formazione di tecnici in grado di progettare la sicurezza dei fabbricati.
Sono stati realizzati numerosi piani di gestione fluviale, ma, si badi bene – fatto importante - coinvolgendo la popolazione com’è successo a Bressanone, dove sono stati elaborati dei piani d’intervento pluriennali che prevedono concrete misure dal punto di vista della pianificazione urbanistica, della realizzazione di opere di difesa, di misure di protezione civile e di interventi a favore dell’ecologia e della rinaturalizzazione.
È stato messo in pratica un piano di gestione delle opere gestito direttamente da nostro personale specializzato che le monitora in base ad un sistema codificato di segnalazione. Il progetto di manutenzione ha dunque preso il via e si sviluppa ogni anno per un certo numero di chilometri, completando tutte le operazioni di conservazione in un quinquennio; allo stato, già i due terzi dei controlli, sui cinque anni, sono stati completati. Così organizzata, grazie anche al supporto dell’elettronica – ci spiega il dott. Pollinger – e all’elevata competenza di esperti e tecnici sul territorio, la manutenzione rappresenta certamente un impegno gravoso, ma è concretamente gestibile se pianificata e realizzata nei modi e nelle tappe previste da specifici protocolli. Non dobbiamo dimenticare che le infrastrutture realizzate sul territorio sono tantissime e un sistema così razionalmente pianificato era necessario per un’efficace manutenzione nel tempo.
Altro settore fondamentale è la scuola: siamo riusciti a realizzare un’ottima sinergia con il mondo della scuola, sempre più sensibile ai temi ambientali, nella quale abbiamo introdotto la questione del rischio alluvioni (approfondendo specifici argomenti come la differenza tra rischio e pericolo o il reale significato di “tempo di ritorno” di un evento, ecc); numerosi sono stati i nostri incontri con gli studenti assai interessati a conoscere e dibattere le diverse questioni, lo stato dell’arte e ad apprendere come s’interviene sul territorio. Si tratta di veri e propri programmi annuali in collaborazione con diversi Istituti scolastici ed il coinvolgimento aumenta sempre più, anno dopo anno.
Si sono intensificati i contatti diretti con i cosiddetti portatori d’interesse - ad esempio i gestori d’infrastrutture per la fornitura di energia e di infrastrutture per la comunicazione - non solo per quanto riguarda le alluvioni, ma anche per altri motivi di rischio come, per indicarne uno, l’improvvisa interruzione della fornitura di energia elettrica, e si è potuto constatare quanto sia importante rendere meno vulnerabili le strutture strategiche: gli addetti ai lavori prendono parte agli incontri con grande impegno e interesse. Abbiamo aperto tavoli di lavoro ai quali partecipare e dove discutere di rischio alluvioni. Meno progressi sono stati registrati in merito alle attività per il cittadino, ci stiamo lavorando, ma tutto procede assai lentamente: convincere gli abitanti delle città a fare di più è veramente difficile, sicuri come sono – sbagliando - che si tratti di competenze completamente demandate all’ente pubblico; in ogni caso, numerose sono le iniziative dedicate a questo aspetto così particolare, come ad esempio “civil protect” sulla vulnerabilità e sulla resilienza, in altre parole su come riusciamo ad incrementare la capacità di resistere dei cittadini di fronte alle catastrofi.
È stato fatto un importante passo avanti – continua Pollinger - si sono riunite le competenze della protezione civile con quelle delle opere idrauliche; ora siamo un’agenzia unica e, in un unico ambiente, si trattano tutte le questioni di rischio. Ciò migliora nettamente le sinergie, uniforma le banche dati ecc. Abbiamo sviluppato il browser della protezione civile, uno strumento informatico tramite il quale i vigili del fuoco possono analizzare, ad esempio, un’area allagata per sapere, in tempo reale, quante persone vi abitano; dal punto di vista previsionale è di fondamentale importanza: se avvisati di un evento alluvionale in una certa zona, della medesima è possibile conoscere ogni dettaglio in pochi attimi.
Una grande sfida riguarda la comunicazione: stiamo cercando di individuare il miglior modo per implementare, tramite i nuovi media, le comunicazioni istituzionali; non è facile. Dovremo affrontare più a fondo il problema perché, il cittadino, nell’ambito della comunicazione, ci ha effettivamente superato; l’utente si aspetta da noi un nuovo modello di divulgazione delle notizie sul quale stiamo lavorando: due gli schieramenti, da una parte i tradizionalisti, che tengono alla precisione dell’informazione e quindi pensano ad un modello istituzionale classico con procedure definite, mentre, pur comprendendo chi desidera innovare, non possiamo non tener conto del fatto che, ad esempio, sia con twitter, sia con whats app piuttosto che facebook, o altri media simili, procedure proprio non ce ne possono essere per la natura stessa dei “social” e ciò crea un serio problema giuridico su chi sia autorizzato e su come si debba dare una notizia di pericolo. D’altro canto, è necessario essere in grado di ascoltare il cittadino che invia un messaggio o un’immagine relativa ad un’emergenza, spesso in tempo reale: chi raccoglie quelle informazioni e come vanno gestite? Un tema importante – afferma il dott. Pollinger - nel quale il nostro ritardo è almeno di alcuni anni rispetto al Nord Europa o agli Stati Uniti.
Nel tradizionale siamo bravissimi: da un lato abbiamo realizzato centinaia di nuove opere ogni anno, seguendo anche i dettami dell’ingegneria naturalistica più classica, quando possibile, per un totale, negli ultimi dieci anni, di almeno un migliaio d’interventi e, in questo ambito, siamo ad un buon punto; la pianificazione del pericolo assieme alla realizzazione dei piani d’intervento ha sollecitato i comuni a chiedere, ove necessario, nelle zone abitate, il nostro intervento e proprio in questo settore realizziamo, al momento, buona parte dei nostri interventi.
Per quanto riguarda il permafrost – continua il dott. Pollinger - negli ultimi dieci anni, il problema si è acuito nei siti già noti (zone di alta montagna dove riscontriamo danni a qualche rifugio, ai sentieri, e un aumento della caduta di massi e delle colate detritiche), ma non si sono individuate nuove zone a rischio.
Frane: ci sono state frane importanti nel 2012 in Val Gardena, in Val Badia, in Val di Vizze, ma tutto sommato, non si è trattato di eventi catastrofici; possiamo dire che abbiamo trascorso un decennio abbastanza tranquillo.
Certamente, ormai nessuno può negare l’evidenza della variazione climatica che ha investito anche la nostra regione, gli effetti della quale si fanno sentire soprattutto nella parte più alta dei bacini idrografici: grosse pareti di ghiaccio si sono staccate sull’Ortles, per esempio; fortunatamente, a quelle quote abbiamo pochissime zone antropizzate (quindi alto il pericolo, ma basso il rischio).
Problemi ben noti – riprende il dott. Pollinger - sono rappresentati dalle città come, Merano, Bressanone, Vipiteno Brunico e Chiusa: vecchi agglomerati urbani attraversati da fiumi dove è difficile intervenire con misure di protezione tecniche, ma dove soprattutto gli abitanti hanno una bassa percezione del rischio; al contrario, nelle campagne e nelle zone di montagna, le persone conoscono le peculiarità della loro terra e da un lato non si scandalizzano se accade qualcosa, dall’altro, sono consapevoli di correre un rischio che può comportare eventuali danni, e si attrezzano per correrlo con il supporto e l’aiuto delle Istituzioni.
Senza dubbio abbiamo raggiunto un traguardo fondamentale – conclude il dott. Pollinger - grazie agli interventi realizzati in più di decennio, alla conoscenza specifica del territorio, alla grande esperienza acquisita e alla maggior consapevolezza delle persone, sono ormai davvero pochissimi i siti nei quali a rischio è la vita.
FB
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