Il prof. Massimo Bernardi: lo studio paleontologico del passato ci prepara al futuro

SESTA ESTINZIONE
 L’allarme per il futuro del genere umano arriva dal passato. La paleontologia ci avverte del pericolo

Gli allarmi per le pericolose conseguenze sul pianeta e su noi stessi del nostro sconsiderato rapporto con la natura non giungono più unicamente dalle fonti classiche, dal climatologo piuttosto che dal naturalista o dall’ingegnere ambientale piuttosto che dal meteorologo ecc., voci alle quali ci siamo sostanzialmente assuefati.
L’avvertimento arriva ora anche dalla paleontologia.


Le pratiche d’indagine di quella disciplina si sono enormemente raffinate grazie al progresso straordinario delle diverse tecnologie utili alla ricerca.
Esse hanno permesso di analizzare ed anche di ri-analizzare le informazioni che ci giungono dal passato profondo, consentendo, sì, una rinnovata, moderna e, per certi versi, rivoluzionaria lettura e ri-lettura del passato, ma anche, per la prima volta, hanno permesso agli esperti di individuare chiaramente i segnali premonitori delle cinque estinzioni che hanno preceduto il nostro tempo.

Charles Burrows la spirale del tempo

Charles Burrows, la spirale del tempo

La notizia sta nel fatto, ancora più interessante, che quei segnali si ripetono costanti e fungono da prodromo al destino a venire, così è stato sempre nel passato. Ebbene, e questa è una lettura innovatrice e avvincente, una parte di quei segnali è riscontrabile oggi e ciò mette noi esseri umani nelle condizioni di accorgerci – ed è la prima volta che l’uomo è in grado di farlo – che si è innescato lo stesso sistema “domino” che, per cinque volte nel passato, ha determinato l’estinzione dell’uomo e non solo. Questa volta, però, pare che il meccanismo sia stato innescato anche con il nostro contributo: proprio da noi, i cosiddetti “sapiens”. Differentemente dal passato, oltre a presentire il pericolo, sapremmo come rimediare ma, a detta di alcuni esperti, non ci rimane molto tempo per evitare la sesta estinzione di massa.

Abbiamo approfondito il tema con il dottor Massimo Bernardi, paleontologo presso il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e curatore della mostra “Estinzioni: storie di catastrofi e altre opportunità”, visitabile al MUSE fino al 26 giungo prossimo [www.muse.it].
Le specie – ci spiega il dott. Bernardi - mostrano dinamiche simili a quelle dei suoi elementi costitutivi, gli organismi: compaiono (nascono), perdurano per un certo tempo (vivono), e scompaiono (muoiono). La loro scomparsa, la loro “estinzione”, è un importantissimo motore del processo evolutivo, tanto naturale quanto la comparsa e il cambiamento delle forme viventi.
Calcolando il numero di specie estinte per unità di tempo è possibile quantificare il tasso di “ricambio” naturale delle specie: il cosiddetto tasso di “background extinction”.
La documentazione paleontologica mostra che una specie ha “vita media” di 5-10 milioni di anni (valore quindi grandemente approssimato perché molto variabile a seconda del gruppo considerato) e simili approssimazioni si possono ottenere dall’analisi delle filogenesi molecolari.
Queste stime portano a considerare il tasso di “ricambio” naturale delle specie tra 0.1 e 1 specie estinte per milione di specie per anno.
L’analisi delle associazioni fossili preservate in tutto il mondo – continua il dott. Massimo Bernardi - ha tuttavia individuato (almeno) cinque “momenti” (del tempo geologico) in cui il tasso d’estinzione si è impennato bruscamente. Sono questi, come sappiamo, traccia d’intervalli temporali relativamente brevi in cui la vita ha affrontato delle profonde crisi che hanno portato all’estinzione di oltre il 75% delle specie: le cosiddette “estinzioni di massa”.

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Giovanni Arduino geologoGiovanni Arduino, geologo

Questi eventi sono caratterizzati da bassa selettività e alta contingenza: sopravvivenza o estinzione dipendono dall’ecologia, dalla distribuzione geografica, dalla numerosità e da altri fattori che caratterizzano le specie, ma anche da una grande dose di fortuna o casualità.
Negli ultimi decenni il numero di studi pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche internazionali dedicate all’analisi dei meccanismi d’estinzione è cresciuto esponenzialmente travalicando il ristretto ambito paleontologico fino a portare alla nascita di un nuovo filone di ricerca: la paleontologia della conservazione.

Ma facciamo un passo indietro.
Siamo soliti affermare – ci spiega Massimo Bernardi - che “la storia insegna”. Ce ne dimentichiamo tuttavia molto di frequente, generalmente in proporzione al tempo trascorso dall’evento passato oggetto della comparazione.
Ecco dunque che eventi accaduti milioni di anni fa sembrerebbero destinati all’oblio, se non fosse che quel detto – così fortemente carico di verità – ha da qualche anno iniziato a scuotere dall’interno la comunità dei paleontologi, gli esperti per eccellenza di storia remota.
È avvenuto tutto rapidamente, come un brusco ridestarsi da un torpore durato troppo a lungo: da circa un decennio, i paleontologi si sono resi conto di poter essere utili allo studio della crisi di biodiversità e ambientale che stiamo vivendo.


L’immenso archivio che paleontologi e geologi hanno a disposizione è costituito da successioni di rocce lunghe migliaia di chilometri ed estese su tutto il globo a documentare 4 miliardi di anni di cambiamenti ambientali, crisi biotiche e ri-diversificazioni: una biblioteca troppo preziosa per non essere sfruttata appieno.
Non che i paleontologi del secolo scorso non avessero utilizzato fossili e segnali geochimici per esplorare tendenze e dinamiche della storia della vita o per comparare eventi passati e presenti. Tuttavia, è oggi, per la prima volta, che hanno iniziato a confrontarsi con i biologi della conservazione, con gli ecologi applicati e con politici e amministratori: gli studiosi della vita estinta si sono messi in dialogo con chi si occupa di trovare le soluzioni per evitare la scomparsa delle specie e degli ecosistemi oggi.


Così, i paleontologi macroevoluzionisti, che da sempre si sono occupati di modelli e generalizzazioni, coloro, insomma, che incarnavano l’idea del paleontologo esperto di teorie e inetto alla pratica, si sono rivelati custodi di un sapere cogente.
Sì perché, malgrado le innumerevoli difficoltà analitiche incontrate, si è presto scoperto che la crisi attuale assomiglia molto, per tassi e dinamiche, a quelle che nel passato hanno condotto alle cosiddette “cinque estinzioni di massa”.

Relazione tra diversità ed estinzioni di massa
Per riprendere i riferimenti citati in apertura – continua il dott. Massimo Bernardi - il tasso d’estinzione attuale – in gran parte alimentato dalla pressione antropogenica – è stimato a circa 1000 volte più della background extinction.
La comparazione con le crisi del passato, abbiamo imparato, può non solo svelarci lo stato della crisi attuale (non esistono possibili comparazioni storiche vista l’entità geologica della crisi) ma soprattutto aiutarci a trovare la strada, o prevedere le dinamiche, per la ripresa.

Una fase cruciale per il futuro della nostra specie che, ammettendo di trovare subito una via d’uscita dalla crisi, caratterizzerà la storia dell’umanità per decine di generazioni.
Massimo Bernardi ci fa un esempio applicativo: gli episodi di estinzione di massa avvenute nel passato sono stati seguiti da lunghi periodi di ri-diversificazione e riorganizzazione ecologica. In media questa fase dura circa 5 milioni di anni. Considerando il tasso di crescita attuale della popolazione umana (+ 1.1% annuo) e una carring capacity del pianta Terra di circa 10 miliardi di abitanti, se l’evento di crisi ambientale e di biodiversità attuale, la “Sesta Estinzione di massa”, dovesse portare alla scomparsa del 75% dei rappresentanti della nostra specie (un valore comparabile con il tasso di decimazione dei grandi vertebrati non completamente estinti nelle passate crisi), la popolazione umana si ridurrebbe a circa 2.5 miliardi, ovvero pari a quella che si aveva all’epoca della seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1945. Secondo queste stime la popolazione umana che vivrebbe il periodo di recupero sarebbe di circa 500.000 miliardi, ovvero tre ordini di grandezza più di tutti gli Homo sapiens nati dall’origine della nostra specie (circa – dato molto approssimato – 100 miliardi).

In buona sostanza: se fino ad ora la nostra specie ha vissuto come superpredatore specializzato in ecosistemi in diversificazione, il nostro destino – se intendiamo proseguire la nostra avventura sul Pianeta – è quello di divenire “disaster taxon”, ovvero una specie adattata a vivere in ecosistemi depauperati.
La neonata paleontologia della conservazione, una paleontologia che usa dati e metodi dell’indagine storica per informare gli studi attualistici, ha il duplice potere di offrire un metro di paragone nella valutazione di un presente in cui siamo costretti a confrontarci con cambiamenti di portata geologica, e di fornire soluzioni – o quantomeno illuminanti déjà vu – ai decisori di oggi, rendendo accessibili “informazioni fossili” circa le dinamiche che hanno caratterizzato la storia della vita.

Dopo aver utilizzato il presente per comprendere il passato – conclude il dottor Massimo Bernardi - è insomma forse arrivato il momento di rileggere intelligentemente il passato per prepararci al futuro.

Franco Boscolo

Last modified onMercoledì, 25 Ottobre 2017 14:26